Nel “Tibur’s”, oggi, si è rivista buona parte dei suoi fondatori istituzionali, Alfio, Gualtiero e Livio, Angelo e Bruna, Carmela, Alina, Salvatore, Agostino, Paolo, Antonio e Leonilde, Lorenzo e Nicola, Gianni e Gabriella, Carmelo, Claudio, Ivano. Inoltre alcuni giovani aggregati, che hanno abbassato notevolmente l’età pensionistica.

Giornata serena, ottima per l’escursione entro la “selva oscura”, per osservare distesi ogni suo angolo riposto, le sue più esaltanti caratteristiche, avanti che primavera rivesta il bosco a nuovo e chiuda gli sfondi. Ora verdi muschi, antocerote ed epatiche abbarbicano le brune rocce, foglie morte colmano i dissesti del sentiero, fiancheggiato da folti cespugli di pungitopo da cui spiccano bacche scarlatte. Mentre ovunque aerea salsa pariglia, per allontanare da se l’epiteto di “stracciabrache”, da noi detta “uva delle serpi”, offre meravigliosi grappoli, a vedersi, di color rosso rubino, con fluenti cascate giù giù dagli alberi “lottizzati”, invoglianti il mondo animale, perché possano affermare altrove la propria discendenza. .

Ma l’aspetto singolare che più colpisce, soprattutto, e caratterizza questo straordinario mondo, è l’immagine degli alberi cadenti della selva che nell’insieme offre uno scenario da favola. Piante in declino per la precarietà delle loro fondamenta, che continuano la loro sintesi anche abbattute, mentre tronchi affiancati da accondiscendenti rocce formano conche “d’acquasanta”, prima che il ciclo della vita le ritrasformi in nuova linfa vitale e possano vagare altrove. Ma la straordinarietà di questo mondo non si esaurisce qui, più avanti troviamo i “Lacioni” e gli “Insogli”, stagni d’acqua tra le rocce. Poi torrenti superficiali ed altri sotterranei. Piccoli crateri sparsi, ancora intatti quasi abbiano staccato or ora di eruttare. Ed ovunque alberi tentacolari, alti fieri, con lunghe ossute mani tese ad abbrancare il passante. Alcune piante secolari insensatamente abbattute dalle folgori o con ferite evidenti, altre colpite dal “mal del falchetto”, prossime alla caduta. Poi ci sono quelle infestate dal vischio con i caratteristici ponfi rigonfi distribuiti qua e là, chiaramente visibili dai rami spogli delle piante ospiti.

La lunga e lenta selezione va preparando genotipi sempre più adatti alle future mutazioni climatiche ed ambientali della Selva.

Ovunque, malgrado fuori stagione, è un insieme verdeggiante fitto ed intenso, ma eccede Semonte, meta definitiva odierna, abilmente evitato dalle linee guida dei sentieri del Parco, perché destinato ad altri scopi. Il sito presenta il suo smusso cono vulcanico libero da vegetazione, mentre sei snelli e fieri cavalli bay ed una “ronzina”, si godono al galoppo elegante il suo dolce pendio. Ma l’ubicazione del luogo, seppur camuffata ad arte, non sfugge all’avvezzo occhio del Tiburzi che, deviato sul sentiero 4, riede ed intercetta il chiuso passaggio, identificabile da esigue tracce di calpestio animale soltanto.

Intervallo del pasto allietato da vinazzi, lambruschi, dolci e grappe, che hanno abilmente richiamato a caterve le catene alimentari dei carboidrati natalizi, mentre ad ogni angolo estemporanei caffettieri distribuivano bevande calde per quattro soldi od una carezza!

Rientro attraverso il suggestivo sentiero per Rofalco! Con prima una giusta sufficiente sosta sul bordo lavico dell’Olpeta, avanti il misterioso villaggio etrusco, ove superata la solita, “sui generis”, aria rifritta dell’allocutoria, si passa dritti dritti a rinfrancar lo spirito con racconti, dolci e piacevoli, ricordi recenti o di un tempo che fu, passati alla “berlina” con evidente e generale arridere e piacere d’animo, data ormai la pluriennale familiarità tra gli elementi del Gruppo. Ma si è fatto tardi tardi e nella Selva le contorte murce già allontanano ambigue e storpie ombre dell’ultimo sole. E noi, certi di ritornare un dì, giriamo le spalle a tutta l’universa vita ed all’infinito mondo del Lamone a vigili fantasmi, ai suoi ultimi ed eterni cantori, Dante ed Annibal Caro. Ma dentro il Lamone si aggirano anche altri personaggi meno noti, ma con egual diritto. Empi, nefandi ed inquietanti quali “l’omo sarvatico”, Tiburzi, Fioravanti, Bettinelli e Biagini, hanno qui lasciato la lor anima dannata per sempre.

IL SALABRONE

Se fossi stato il Bernini, prima di progettare la Fontana di Trevi, avrei dato uno sguardo alla gran mostra d’acqua della Cascata del Salabrone.

vani' 09-01-2011


LE FOTO
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